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Articolo sul Giornale del Popolo di Lugano


Si è chiuso giovedì 8 marzo a Bologna il primo convegno internazionale dell’European Academy of Religion, piattaforma promossa dalla Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII per mettere in rete università, centri di ricerca e studiosi del fatto religioso provenienti da ogni parte d'Europa.  I processi di secolarizzazione che stanno attraversando l’Europa, unitamente al potente ritorno delle religioni nella sfera pubblica dei continenti extrauropei  ed al ruolo dei diritti confessionali nei processi di costruzione dell’identità e del dialogo  interreligioso sono stati oggetto di approfonditi dibattiti nelle oltre 200 sessioni di lavoro che hanno caratterizzato l’evento. Una di queste sessioni è stata dedicata ai rapporti tra teologia e diritto canonico nel pensiero di Eugenio Corecco: oltre al sottoscritto ed al Prof. Romeo Astorri, i Professori Carlo Fantappiè (Roma Tre), Burkhard J. Berkmann (Monaco di Baviera) e Daniela Tarantino (Genova) hanno dato vita ad una riflessione sull’opera canonistica del Vescovo Eugenio, mettendone in evidenza gli spunti innovativi di carattere metodologico e l’ attualità delle sue considerazioni in  molti settori della vita della Chiesa e della società civile, come ad esempio quello delle migrazioni e  quello del matrimonio e della famiglia. Parlare di diritto canonico ha senso solo nella prospettiva di comprendere la natura peculiare della Chiesa cattolica: questo è uno dei punti di partenza della riflessione di Corecco e uno dei punti di forza dell’attualità del suo pensiero che è emerso dal simposio bolognese. Un punto di partenza niente affatto scontato, dal momento che la canonistica classica aveva sempre ritenuto che la struttura giuridica della Chiesa cattolica dovesse essere conoscibile e spiegabile a prescindere dalla sua struttura teologica, la quale finiva con il diventare – per il giurista – una sorta di elemento non necessario da conoscere nella sua profondità. Corecco ha ben chiaro che il diritto canonico non deriva da dinamiche politiche, e come tale non può essere assimilato al diritto degli Stati; esso è posto come dono diretto alla santificazione dell’uomo – nel senso di renderlo un prisma capace di mostrare, la luce di Dio e la sua centralità nell’esistenza terrena. Nella sua prospettiva, la dimensione giuridica della Chiesa non è una dimensione di potere, ma un complesso di regole dirette a santificare l’esistenza umana e a dirigere la persona verso la conquista della salvezza eterna, intesa come “libera accettazione della compagnia di un Dio misericordioso che ha voluto intervenire e restare nella storia”. Il canonista, pertanto, non è titolare di un sapere chiuso o formalistico, ma ha il ruolo di studiare e comunicare un riflesso (quello giuridico) della moralità nuova che Dio ha comunicato all’uomo attraverso l’Incarnazione. Oltre vent’anni dopo quel 1° marzo 1995 che ne ha segnato la nascita al cielo, il convegno bolognese ha mostrato che il Vescovo Eugenio rimane una figura nodale per la canonistica contemporanea. Partendo dalla consapevolezza che non si possono affermare i valori fondanti dell’ordinamento a prescindere dal fatto che li ha generati,  i più recenti studi su Corecco hanno dimostrato come – nel diritto canonico, così come in altri diritti religiosi - la regola non richieda una semplice osservanza, ma una "commozione" dell'animo di fronte al Mistero che –anche attraverso la norma - viene incontro alla vita di ogni uomo. I diritti religiosi sono dunque accomunati dal fatto di essere un’esperienza in cui il segno (grafico della norma) coincide con il Mistero, con quell'ineffabile dimensione di Alterità di Dio capace di rendere le cose nuove ogni giorno, ed in cui l’obbedienza diventa un atto di Amore speculare al dono ricevuto. Di fronte a questa prospettiva, lo strumento della comparazione tra diritti religiosi può essere di straordinaria importanza al fine di promuovere il dialogo interreligioso: a patto, naturalmente, che gli attori del dialogo siano ben saldi nella conoscenza e nella consapevolezza della propria identità e di quanto l’obbedienza alla regola della propria religione sia – prima di tutto – un atto di amore. La prospettiva di Corecco impone tuttavia una profonda riflessione anche al diritto statuale ed agli attori che lo interpretano e lo applicano.  Senza confrontarsi con questa dimensione di apertura al Mistero, infatti, il diritto statuale corre il rischio – come scrive Chiara Minelli - “di cadere in un mero positivismo giuridico incapace di rispettare la dimensione trascendente della persona”, in una serie di comandi posti dal più forte in modo forse legittimo, ma certamente deradicati da una dimensione essenziale della natura umana.


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